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Rosa Dolomiti. Una leggenda sud-tirolese.

By ariles • 10 Aprile 2014 • A Ruota Libera
rose by atoma

Photo: Atoma (own creation)

Rosa Dolomiti. La storia delle rose di re Laurino.

C’era una volta Rosengarten, uno splendido roseto di montagna. Apparteneva al re dei nani Laurino, che viveva sereno insieme alle sue rose. Fino al giorno in cui non venne invitato alla festa del re della Val d’Adige, che aveva indetto un torneo per maritare la bellissima figlia Similde: il vincitore infatti l’avrebbe avuta in sposa.

La rabbia di re Laurino lo spinse a partire. Giunto in Val d’Adige, nella confusione generale rapì la principessa servendosi della sua cappa magica che lo rendeva invisibile e tornò di corsa a casa. Hartwig e Wittich, i duellanti finali e quindi i più forti, non finirono il combattimento che già si gridava alla scomparsa di Similde: non ci volle molto a capire chi era il colpevole, non invitato. I due partirono lancia in resta con il re dei Goti Teodorico, diretti al regno di Laurino. Giunti là, calpestarono le rose del giardino con i loro cavalli, scatenando la reazione del nano re che cercò di fuggire grazie alla sua cappa dell’invisibilità. Venne però ingannato dalle rose calpestate sotto i suoi passi: Teodorico lo afferrò e il copricapo volò via rendendo visibile Laurino, che fu imprigionato. Similde, però, supplicò a che lo liberassero: il re era stato gentile con lei e non meritava una simile punizione.

Al calar della sera si fece festa: tutti bevvero e mangiarono a volontà fino ad addormentarsi di un sonno pesante come quelle libagioni. Fu allora che i nani, ubbidendo agli ordini del loro re, imprigionarono gli ospiti: re Laurino voleva impedire a tutti i costi che tornassero in Val d’Adige portandosi via la principessa, di cui lui si era perdutamente innamorato. Ma non ci volle molto perché i tre si liberassero: le sbarre della prigione erano costruite per i nani, e non per resistere alla forza di guerrieri avvezzi ai combattimenti più sanguinari.

Re Laurino venne quindi fatto prigioniero un’altra volta. Attraversò il suo Rosengarten insieme a Similde e ai cavalieri, e lo maledisse. “Rose traditrici, avete svelato la mia presenza al nemico anziché proteggermi” disse. “Grazie ai miei poteri, ora vi trasformo in pietra e vi condanno a non risplendere mai più, né di giorno, né di notte. Addio”. Furono queste le sue ultime parole: venne condotto alla corte di Verona e condotto nelle patrie galere, mentre Similde sposava il fiero Hartwig.

I giorni passavano, e presto Laurino sentì una profonda nostalgia per il suo regno e il suo roseto, pentendosi amaramente della maledizione inflitta ai suoi fiori. Un giorno però, ascoltando le parole dei suoi carcerieri, una consolazione venne ad accarezzargli il cuore, indurito dalla solitudine e dalla prigionia. I due raccontavano che si narrava in tutta la valle di un fenomeno straordinario: al tramonto, infatti, le rocce del Rosengarten risplendevano di rosa, illuminando di luce e speranza lo sguardo stupefatto di tutti gli abitanti. “Le mie rose!”, pensò commosso re Laurino. “Io le avevo maledette affinché non splendessero più né di giorno né di notte ma… mi ero dimenticato del tramonto!”.

Ecco perché, nel momento magico del crepuscolo, il roseto in pietra di re Laurino avvampa di rosa, ripetendo ogni sera un incanto rimasto immutato da allora fino ai giorni nostri. Se non ci credete, andate a vederlo con i vostri occhi: basta raggiungere il Rosengarten – detto anche Catinaccio – nelle Dolomiti. E aspettare il tramonto.

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