Sospesa tra Venezia e Burano, la defilata Mazzorbo è un’oasi di pace sconosciuta alle rotte del turismo di massa.
350 abitanti. Un parco giochi con le panchine rosse. Casette delle fiabe tra i canali. Aironi cenerini e garzette insieme a rondini e farfalle. Mazzorbo è tutta qui: una lingua di terra che lambisce l’affollata Burano senza toccarla mai. Il Ponte Lungo le unisce con i legni della sua campata, eppure queste due isole non potrebbero essere più distanti: Burano è colori accesi, turisti e infradito, fritture di rosticcerie e ristoranti sul canale; Mazzorbo è silenzio, passeggiate ombrose sotto i platani, pensieri lenti tra il cimitero e le case del centro, dalle forme futuristiche color salvia e lavanda.
Mazzorbo era Maiurbum, una volta. Da Maior Urbs, la città grande: il luogo dove gli abitanti dell’entroterra scapparono nel VII secolo d.C. a causa dei barbari e delle loro invasioni. Vicino, oltre a Burano, l’isola-emporio di allora: Torcello, altra ostrica della laguna, che nasconde la perla di mosaici da non crederci, fino a quando non li vedi. Accanto sonnecchia Mazzorbetto, lembo di terra e pace infinita al di là del canale e dei vaporetti che ospita una vegetazione lussureggiante, alcune ville e una dimora di Giacomo Casanova.
Mazzorbo visse la sua età d’oro fino all’anno Mille. Poi iniziò il declino, inversamente proporzionale all’ascesa di Venezia e della sua sfolgorante volontà di potenza. Delle sue chiese, dei suoi palazzi e delle glorie di allora non rimane quasi nulla, solo la Chiesa gotico-romana di Santa Caterina e alcune case nobiliari affacciate sul canale principale. Il resto è quiete e natura, vigneti di Dorona e Carmenere, prati di papaveri e trifoglio, orti e verzieri dove trionfano le castraure di Mazzorbo (il primo, prelibato frutto dei carciofi, dal gusto di salsedine).
Mazzorbo è una parentesi di silenzio, colori tenui e raffinata solitudine; un luogo dove è bello andare, girovagare e ritornare. E perfino perdersi, prima del prossimo vaporetto e del ritorno alla realtà.