Illustrazione: 7mouni
Cantare le uova. Tradizione di Quaresima in Piemonte.
“O dene, dene d’j oeuv
ma d’la galina bianca,
i vostri ausin an diso
che chila l’é mai stanca…”
Notte fonda in langa. Notte fredda, notte di Pavese, notte di Quaresima. E note e ritornelli, cantati ridacchiando tra le vigne e le cascine, nella bruma tra i sentieri che odorano di luna piena, terra umida e cani abbaianti a guardia delle aie. Giovanotti alticci, signori di mezza età, goliardi amici di paese e di osterie girovagano per le campagne a cantare le uova. Di podere in podere, con rime e strumenti spesso improvvisati. Uno solo il fine del canto, serenata gastronomica, ridanciana e propiziatoria: ricevere uova dai compaesani, per celebrare poi con vino (magari un superbo Barolo!) e ricche libagioni.
Rito pagano e contadino, quello di cantare le uova è un evento nato quando le uova rappresentavano un cibo prezioso, al pari della carne, da regalare al dottore o al parroco di paese per sdebitarsi di qualche cortesia, piuttosto che un alimento da consumare con disinvoltura e regolarità. Meglio ancora, portarlo al mercato: le uova costituivano una merce facilmente tramutabile in denaro, da spendere poi in beni di prima necessità. Ingrediente primario di plin e tajarin, simbolo di vita e fecondità, l’uovo era al centro della cultura contadina langarola; cantarlo, un rito di amicizia, prosperità e allegria.
Cantare le uova è una tradizione di saluto e benevolenza, un rito di ringraziamento e prosperità per la generosità dei padroni di casa. Ma guai agli avari e ai vicini con il braccio corto: per questi, rime di vendette e colorate maledizioni!
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